Previsioni stratosfera aggiornate

Previsioni stratosfera aggiornate

Sembrano arrivare altre conferme e piccoli aggiustamenti a riguardo delle nostre previsioni stagionali ormai seguitissime sul nostro sito.
A proposito di questo citiamo qui sotto il dettaglio della previsione stagionali aggiornate a cura di un sito amico (Climatemonitor) che sembra confermare la nostra visione.
In particolare è concorde su molti aspetti con le nostre previsioni probabilistiche per la seconda metà di gennaio.
L’aggiornamento prevede anche l’analisi dello stratwarming in atto.

Previsioni stratosfera aggiornate

“Cominciamo subito con il dire che la previsione fatta nel primo outlook stagionale, a riguardo delle dinamiche stratosferiche, è andata complessivamente a buon fine sia nei tempi indicati che, a carattere generale, nei metodi, sia pure con le opportune declinazioni (al tempo inimmaginabili) che vedremo. Ora che l’evento stratosferico estremo è nella realtà dei fatti abbiamo l’opportunità di valutare il fenomeno e quindi di cominciare a discutere di possibili dinamiche troposferiche evolutive.

Nel precedente outlook si immaginava una dinamica che portasse ad un MMW con split del vortice di tipo classico invece si è giunti all’evento, e lo si consumerà, in maniera non esattamente canonica. Purtroppo lo shutdown che ha coinvolto alcuni servizi pubblici statunitensi non ci permette di usare i dati di reanalisi ma cercherò validi sostituti a supporto.

Iniziamo con il valutare la dinamica degli impulsi troposferici che hanno guidato l’intero evolversi del fenomeno sia in fase preparatoria che nella sua consumazione.

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Dalla figura 1  è possibile notare il fitto gioco di sponda tra la troposfera e la stratosfera che lentamente hanno intessuto il Major Midwinter Warming con superamento della fatidica soglia dei -3 di fine dicembre scorso. Seguendo la numerazione possiamo vedere come fasi di espansione e raffreddamento della massa tra l’alta e la medio-bassa stratosfera abbia corrisposto una compressione della massa tra la bassa stratosfera e la troposfera e così via (vedi dal punto 1 nel grafico). Dal punto 6 si apprezza il primo risultato di questa “comunicazione” con il preavviso di cambio di marcia che inverte il gioco di sponda con la massa stratosferica medio-alta in debole compressione e la bassa stratosfera e troposfera in espansione (punti 7 e 8). Il punto 8 lo possiamo definire un punto di chiusura dell’intera tessitura avviata nella prima fase autunnale. Il punto 9 è il vero e proprio impulso che dalla troposfera sfonda in stratosfera grazie al transito della convezione equatoriale (MJO) dalla zona 1 e poi in zona 2 per concludere questa fase nella zona 3 sempre in buona ampiezza, anche se non eccessiva. Il passaggio in zona 3 è avvenuto nei giorni dal 7 all’11 dicembre scorsi attivando un aumento del geopotenziale dalla bassa alla media stratosfera (7-10hPa) amplificandone il segnale e determinando una sempre maggiore convergenza di flusso orizzontale in zona siberiana orientale che dinamicamente comporta una compressione della massa per effetto di caduta verticale del flusso e quindi un riscaldamento (vedi gli effetti in figura 2).

La successiva fase di espansione della massa atmosferica nella colonna troposferica e bassa stratosferica fino a circa 70hPa, contrassegnata al numero 10, corrisponde al successivo transito della MJO in zona 4 che tende generalmente a spegnere la dinamica sopra descritta (più avanti definiremo un po’ meglio). La zona sempre contrassegnata al numero 9 ma tra i livelli compresi tra 5hPa circa e 0,4hPa non è altro che la risposta all’azione di compressione della massa atmosferica sottostante con espansione di quella sovrastante. L’entrata della convezione equatoriale in zona 5 il giorno 18 dicembre rappresenta l’accensione della miccia che porterà al superamento della soglia di -3 dell’indice NAM10hPa e dell’indice SEI (Stratospheric Event Index) il giorno 29 dicembre, conclamando l’Evento Stratosferico Estremo (vedi figura 3).

Nelle figure 4 e 5 sono evidenziati, tra le curve in nero, rispettivamente l’impulso troposferico alla quota isobarica di 500hPa e i successivi effetti di propagazione in bassa stratosfera evidenziati alla quota isobarica di 200hPa.

Da notare che l’impulso troposferico è indotto dal transito in zona 1 della MJO con i successivi effetti nel trasferimento nelle zone 2 e 3 che sono stati sopra discussi.

Il realizzarsi di tutta questa dinamica, fino al conclamarsi dell’Evento Stratosferico Estremo, ha però una radice piuttosto importante ovvero il gradiente meridionale di geopotenziale alla quota isobarica di 10hPa.

Dalla figura 6 possiamo notare la curva arancione rappresentante l’anomalia del geopotenziale alla quota isobarica di 10hPa tra le latitudini di 20°N e 30°N che è stata, fin dal primo luglio scorso, sempre al di sotto del valore medio del relativo periodo. Tale caratteristica ha contribuito ad attenuare notevolmente il valore di gradiente meridionale tra le alte e le basse latitudini (vedi curva tratteggiata verde) anche in presenza di un vortice in sede polare anche più profondo del normale (vedi curva in blu) sottraendo velocità zonale al vortice stesso (vedi figura 7). Da qui la cronica difficoltà del vortice polare stratosferico ad approfondirsi molto durante l’avanzare stagionale nonostante i bassi valori di temperatura raggiunti nella fase autunnale (vedi figura 8) toccando il 19 novembre scorso il valore minimo di circa -73,8°C.

Tutta questa dinamica ha poi portato il giorno 4 gennaio allo split del vortice polare alla quota isobarica di 10hPa. Da questo punto arrivano le novità… Nella dinamica classica degli eventi che portano allo split del vortice polare nella media stratosfera si vede mediamente l’azione congiunta delle due onde planetarie che lasciano il vortice principale, quello più profondo, sul comparto canadese e quello secondario sul comparto europeo. Quanto avvenuto invece è riconducibili a quei casi in cui la scissione è affidata alla sola, o quasi, azione della prima onda. Le sequenze nelle figure 9 e 10 inerenti rispettivamente il geopotenziale alla quota isobarica di 10hPa e la vorticità potenziale al livello isoentropico di 850K (circa 10hPa) chiariscono meglio quanto appena descritto.

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Come detto dalle due sequenze si nota molto chiaramente come il vortice in zona europea sia il soggetto principale e quello verso il comparto canadese quello il secondario. Tale dinamica si fa sempre più evidente scendendo di quota con il vortice sul comparto euro-siberiano che risulta la figura protagonista facendo assomigliare sempre più l’evento ad una dinamica displacement.  Le manovre complessive in area canadese non forniscono quantità di moto sufficiente all’insorgere della seconda onda stratosferica così che la scissione è piuttosto labile tanto è vero che già dal 7 gennaio c’è l’inizio di manovra atta al ricompattamento. In soldoni quanto descritto da un lato ha lasciato una seconda onda troposferica piuttosto attiva a ridosso dell’Europa occidentale aprendo sia la via ad irruzioni di aria artica prevalentemente marittima, salvo un iniziale contributo più continentale avuto proprio nei primi giorni dell’anno, che una focalizzazione delle precipitazioni sul medio-basso versane adriatico ed il meridione mentre le regioni sud-alpine e settentrionali in genere sono rimaste sottovento alla barriera alpina con frequenti episodi di foehn mentre lo stau ha flagellato il versante nord della stessa catena. Se guardiamo al grafico di figura 11, inerente la diversa media distributiva delle anomalie in caso di MMW split (a) e di MMW displacement (b), notiamo al confronto con la figura 1 che esistono delle chiare analogie con lo schema alla lettera “a” dello split nel periodo precedente l’evento ma certo non mancano alcune sovrapposizioni con la dinamica che precede il displacement.

In particolare si nota l’approfondimento più consistente del vortice stratosferico più palese tra i 30 e i 10hPa nel periodo compreso i 70 e i 45 giorni precedenti l’evento, o piuttosto, l’anomalia negativa di geopotenziale tra la troposfera e la bassissima stratosfera attorno ai 15 giorni precedenti l’evento. Nella chiara evoluzione verso uno split o un displacement di un nascituro MMW non è secondario né il transito della convezione equatoriale in zona 4 e non lo è la sua modalità. In 7 eventi di displacement e split esaminati dal 1977 al 2000 il passaggio e la permanenza media in fase 4 della MJO nei trenta giorni precedenti l’evento è stata per il primo caso di 5,3 giorni con ampiezza media di 1,11 e per il secondo caso di 1,3 giorni con ampiezza media di 0,9 (il basso numero di giorni sta ad indicare che molti casi di split non sono nemmeno preceduti dal passaggio in fase 4 nei trenta giorni precedenti l’evento). La lunga permanenza in fase 4 con buona ampiezza precede mediamente i casi di MMW displacement mentre brevi passaggi con ampiezza bassa precedono generalmente eventi di tipo split. Nel caso qui discusso la permanenza nella fase 4 è stata di 6 giorni con una ampiezza media di 2,2. Secondo la statistica il MMW avrebbe dovuto manifestarsi secondo un displacement, motivo per il quale sulla base delle molteplici forzanti il risultato finale è stato un insieme dei due eventi.

Da notare sempre dalla figura 11 che gli eventi split hanno una risposta troposferica immediata con eventi anche rilevanti concentrati in un periodo relativamente breve di una trentina di giorni mentre negli eventi di tipo displacement si nota una chiara maggiore difficoltà della sua natura dinamica a scendere sotto la tropopausa influenzando energicamente la troposfera, così che gli effetti ne risultano meno drammatici ma molto più duraturi nel tempo, una sessantina di giorni. Come detto precedentemente se alle quote medio-alte stratosferiche possiamo descrivere l’evento come pienamente split scendendo di quota si nota la maggiore somiglianza ad un evento tipo displacement e finora anche gli effetti in troposfera lo confermano.

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Onestamente dipanare la matassa non sembra cosa facile ma avendo maturata un’idea la propongo.

Prima di addentrarmi nel tentativo di prognosi ripropongo qui di seguito il grafico dell’attività d’onda per segnalare come la previsione sia stata veramente performante e certamente l’evoluzione proposta deve tenerne parecchio conto.

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A mio modesto parere dalla metà circa del corrente mese dovremmo assistere ad un graduale cedimento del campo di pressione sul Mediterraneo centrale con graduale rinforzo dello stesso sul medio Atlantico arretrando rispetto la posizione attuale. Tale manovra aprirà la strada a soventi azione depressionarie nei mari attorno alla Penisola. Il blocco atlantico favorirà un’azione prevalente da Dipolo Artico positivo con alimentazione fredda di aria artica prevalentemente marittima ma non è possibile escludere anche brevi contributi per episodi più continentali. Nel dettaglio possiamo immaginare la discesa delle correnti fredde ad interessare maggiormente l’Europa orientale settentrionale e centrale con temperature diffusamente sotto media. Per l’Italia la zona più interessata potrebbe essere il nord Italia con più di qualche occasione di neve ad interessare anche le pianure ed un po’ più marginalmente il centro. Il meridione dovrebbe risentire maggiormente del richiamo meridionali innescato dalle suddette depressioni mediterranee. Secondo lo schema dell’attività d’onda la fase maggiormente interessata da tale configurazione potrebbe collocarsi tra l’ultima decade del corrente mese e la prima del successivo. Ovviamente questa linea di tendenza immaginata non solo dovrà trovare conferma ma è d’obbligo in caso affermativo seguire con attenzione i modelli deterministici per quantificare nel dettaglio gli effetti.”

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